Galleria Rossonera

Morgia: " L'unica maglia che sento proprio dentro è quella rossonera"

martedì, 21 marzo 2017, 19:47

di diego checchi

In tribuna a vedersi un allenamento della sua amata Lucchese stando all'aria aperta e respirando il profumo dell'erba, questo è Massimo Morgia che da poche settimane è tornato a casa dopo l'esperienza poco fortunata all'Aquila. Con lui abbiamo parlato ovviamente di calcio perché è sempre un piacere ascoltarlo e sentire le sue teorie sul gioco più bello del mondo.

Morgia ha esperienza da vendere fatta di vittorie di campionati ma anche di delusioni cocenti, sa come va questo sport e di conseguenza lui non cerca una squadra qualsiasi per allenare ma un progetto che sia ben radicato nel tempo e che abbia come obbiettivo primario la crescita del settore giovanile, abbinata ovviamente a quella della prima squadra. In parole spicciole a lui piace fare il direttore tecnico e non il mestiere di allenatore in maniera nuda e cruda. 

Mister che cosa sta facendo adesso dopo l'esperienza dell'Aquila? "A dire la verità mi sto un po' decongestionando dal calcio e quindi per il momento non sono ancora andato a vedere partite ne di Lega Pro ne di Serie D." 

Dica la verità ma lei vuole ancora fare l'allenatore? "Certo è il mio lavoro ma qui voglio fare una premessa. Io è dal 2009 che non faccio più l'allenatore in maniera vera e propria perché quando ho accettato le ultime proposte l'ho fatto perché mi è stato prospettato un progetto che mi affascinava molto. Il mio obbiettivo negli ultimi anni è stato quello di poter gestire due gruppi, sia la prima squadra ma anche quella juniores. Mi piacerebbe poter lavorare in maniera duratura ad un progetto da sviluppare nel corso degli anni, per poter vedere i veri frutti, ma nel calcio è soprattutto in Italia è quasi impossibile." 

Come è cambiato negli anni il calcio in Serie D? "Vorrei sottolineare che ci sono ancora giocatori con buone qualità ma è chiaro che con l'avvento delle quattro quote obbligatorie in campo, il livello è calato. Vi dico subito che non sono d'accordo con questa regola perché non è giusto far giocare i ragazzi solo per sfruttare la loro carta di identità. Se un giovane è bravo deve comunque giocare altrimenti no. A mio avviso questa regola è sbagliata anche e soprattutto per la formazione dei ragazzi come uomini." 

Anche se lei non è di Lucca ormai si sente ​Lucchese a tutti gli effetti? "Ho girato in tante piazze da giocatore e da allenatore, ma da allenatore le maglie si amano fino ad un certo punto. L'unica maglia che sento proprio dentro è quella rossonera, tanto è vero che in più di una circostanza nel corso degli anni mi hanno chiesto di allenare la squadra ma io ho sempre rifiutato solo perché mi sentirei troppo coinvolto emotivamente. A Lucca ci abito e preferisco lasciare la mia famiglia lontano dal calcio e da qualsiasi tipo di problema." 

Come è cambiato il calcio da quando giocava lei? "È cambiato radicalmente ed in maniera negativa. Dall'avvento delle TV nel calcio si è aperta una voragine fra Serie A e B e le leghe minori. Alla vecchia Serie C sono state tolte troppe risorse e l'obbiettivo deve essere quello di riportare il calcio in provincia e di far ritornare la gente allo stadio perché questo deve essere un punto di aggregazione culturale e sociale. Il grande calcio è giusto vederlo in televisione ma quello di provincia va visto allo stadio. Le grandi squadre adesso faranno tutte gli stadi di proprietà. Io mi comporterei esattamente al contrario perché a mio avviso dovrebbero essere le piccole squadre a dotarsi di un proprio stadio da 4-5 mila posti che possa essere riempito. Mi ricordo che quando giocavo a Lucca c'erano sempre a vederci 10-11 mila spettatori. Adesso si fa fatica ad arrivare alla decima parte." 

Che cosa si auspica per la Lucchese? "Spero che la Lucchese costituisca una grande società e se fatta da gente del territorio ancora meglio. A mio avviso in una realtà come Lucca bisognerebbe investire sulle strutture e su un settore giovanile forte."



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