Rubriche : romanzo rossonero

Il calcio è la gente, non i calciatori. La Lucchese supera il Prato abbandonato

lunedì, 26 marzo 2018, 14:19

di alessandro lazzarini

Qua siamo già al prendere o lasciare, Prato Lucchese non è solo lo scontro fra l'ultima della classe che deve mantenere il contatto col resto della classifica per non retrocedere direttamente senza passare dagli spareggi e una squadra declinata fino ai margini della zona calda, ma anche la disputa fra il campo sportivo di Pontedera e il gioco del calcio in sé.

Già, il Lungobisenzio è in fase di ristrutturazione, e di per sé non si capisce perché un inguardabile sistema di toppe messe a caso intorno a un campo da calcio debba essere restaurato invece che abbattuto, così i biancazzurri se la giocano in quel di Pontedera. Non è un dettaglio di poco conto, perché vista la squadra nell'ultimo posto occupato dal Prato questa lontananza da casa tutto l'anno ha certamente rivestito un ruolo: già anche quando giocano in casa l'esistenza dei tifosi del Prato è argomento dibattuto al Cicap e in tutti i più vivaci consessi sul paranormale, figuriamoci in campo neutro. Infatti del fatto che i gigliati siano sul terreno amico non v'è quasi traccia se non uno striscione sistemato in tribuna con su scritto 'manicomio biancazzurro', solo che Basaglia ormai i manicomi li ha svuotati da decenni e quindi intorno allo stendardo c'è nessuno in persona, una tristezza; 'i platesi sono tutti a fare l'apertivo al 'Miraglia', sostiene qualcuno, 'non hanno mai avuto tifosi ma sagomati di cartone' dicono altri, 'Plato è uno spin off di Firenze' concludono.

Ma in che modo incide il fattore campo? In fondo se la giocano i calciatori, dirà qualcuno. Beh, si e no, perché si torna al bello del calcio, a questo suo essere popolare ed emozionale per sostanza, il pubblico amico è un motore primo che trasmette ai ragazzi la consapevolezza di essere attori protagonisti di qualcosa che trascende il semplice gioco, che crea l'appartenenza a un sistema di valori e aspettative più grande del compito richiesto dal lavoro che in fondo stanno svolgendo: in 'casa' spesso la squadra esprime qualcosa di più, percepisce una responsabilità e aumenta le forze cercando di dare alla sua gente le soddisfazioni e le gioie legate sia al risultato sportivo che all'orgoglio della competizione con un nemico che non è solo la squadra avversaria, ma anche l'insieme culturale e caratteriale iscritto nei 'popoli' coinvolti. Ecco un altro aspetto fondamentale del calcio come fenomeno sociale della tradizione popolare moderna, quella che si vuol cancellare e rinnegare con i postulati ideologici del globalismo e dell'altVomondismo e che cerca la sopravvivenza insediandosi in quasi tutte le espressioni spontanee della realtà vera, che non è mai quella decisa arbitrariamente a tavolino da elite con la puzza sotto il naso.

Ecco, insomma, al Prato tutto questo manca, perché gioca fuori casa e non ha tifosi, i giocatori sembrano svolgere il loro compito senza alcun coinvolgimento che vada oltre il campo e tutto ciò in quanto a classifica costa dei punti. Buon per la Lucchese allora, che un pubblico ce l'ha. Certo, rattristato, ridotto ai minimi storici da vicissitudini e circostanze quasi insopportabili, ma comunque sempre presente e in quel di Pontedera unica nota a ricordarci che la partita non è la sgambata fra operai del pallone che timbrano il cartellino. Poche centinaia di lucchesi colorano di rosso, nero e bianco l'immondo spicchio loro concesso e la Libertas li sente mettendo sul campo qualcosa in più degli avversari, che non sarebbero neanche male, ma non alzano mai il livello della grinta e della voglia e tutto sommato fanno solo intravedere della potenzialità, specie sulle ali, sempre però imbrigliate in una fastidiosa sensazione di minimo indispensabile. Ne vengono disattenzioni, pochi falli, reazioni d'orgoglio individuali e quindi inutili e Lucchese quasi sempre padrona del campo. Certo, è quel potere che ormai sappiamo vanificato da una vena realizzativa alquanto scarsa, che non porta a occasioni nitide, ma che comunque permette alla squadra di Lopez di controllare il gioco sperando che succeda qualcosa, il che si legge più o meno 'Fanucchi pensaci tu'. E il 10 di Lucca ci pensa già nei primi minuti, quando buggera il portiere pratese che lo accoppa in area, salvo poi respingergli il sacrosanto rigore. L'episodio deprime le pantere, già frustrate da un gioco che non diventa mai gol, così gli pseudopadroni di casa mettono in moto il 7 e il 10 e ogni tanto si affacciano, ma il massimo che riescono a raccattare sono calci d'angolo.

A parte Fanucchi dalla parte rossonera il copione è il solito, buona manovra e errori in fase di finalizzazione che gettano nello sconforto squadra e pubblico. Al '39 un facile passaggio d'attacco spedito non si sa bene dove abbatte un tifoso, che cade come una pera cotta sui gradoni facendo gridare al malore, ma era solo un individuo più sensibile degli altri che si era arreso agli eventi e portato all'estremo si era lasciato cadere abbandonandosi al delirio: 'Di Stefano' 'Carruezzo', farfugliava con gli occhi fuori dalle orbite, prima di arrivare laddove nessuno avrebbe mai creduto e piangendo ripetere 'anche Pozzebon, ridatemi anche Pozzebon'. Cose inimmaginabili.

 

Intanto gli ultras impediscono a chiunque di vedere la partita agitando bandieroni immensi secondo la logica scientifica che allo stadio ci si va come elemento partecipe del risultato attraverso il tifo, il che disturba non poco chi si presenta allo stadio con la logica opposta, cioè che il calcio sia uno spettacolo da fruire e partecipare. In trasferta non c'è la possibilità di sfuggire a questo postulato ultras, perché i settori sono piccoli e l'unico modo sarebbe andare alla recinzione come in terza categoria e non vedere niente comunque. E' roba francamente odiosa che non aiuta a stabilire una convivenza civile fra ultras e resto del pubblico, ma prima di luquidare tutto traendo facili conclusioni su questo mondo sottorreneo che è il tifo organizzato sarebbe bene ricordare l'esempio inglese. Anche lì si è combattuta una guerra di repressione contro gli hooligans negativizzandoli soltando senza mai cercare di capirli, come si fa qua, poi una volta militarizzati gli stadi e diciamo risolto il problema, ci si è resi conto che anche quella era una manifestazione popolare e spontanea di una certa fascia di popolazione con i propri disagi, difficoltà e sogni che le elite e i benpensanti si preoccupavano solo di cancellare dall'ordine delle possibilità considerandola immonda. Ecco così che ora gli stessi conformisti moralisti che disprezzano gli ultras vanno alle retrospettive d'essai a vedersi il cinema neorealista inglese che romanticizza il fenomeno holligans mostrando come fosse una forma di ribellione delle masse oppresse e marginalizzate nelle periferie industrializzate e spersonalizzate dai tiranni del mondo edulcorato ma che in fondo non sanno far altro che abbandonarsi alla logica del più forte (o ricco) della società del liberismo selvaggio.

Ecco, insomma, si vuole l'industria del calcio, il business del pallone, la fiumara dei soldi e poi quelli che vanno allo stadio si trattano come bestie e nessuno cerca mai di capirli e prendere la loro parte. Anche gli animali del circo hanno i loro difensori fra coloro che ci insegnano come si sta al mondo, gli ultras no, sono solo feccia da estirpare, magari fascista. Ecco quindi che fra il primo e il secondo tempo quando si alza il vento gelido e ci viene in mente di uscire un attimo a prendere un berretto rossonero in macchina, ai cancelli ci dicono che chi esce non rientra più, sono le regole della gabbia per i malriusciti, e per fortuna che la benevolenza di qualche individuo pivouto lì ancora con un minimo senso di ragionevolezza ci permette di proteggersi le orecchie dall'inverno tardivo. Chi pensa che il calcio e il mondo del pallone lo facciano i Messi, i Cristiano Ronaldo e questi qua non ha capito niente di questo fenomeno sociale: il calcio è speciale perché è fatto dalla gente e senza la gente non è più calcio, oppure andate dai giocatori del Prato e chiedetegli se senza pubblico gli par di giocare a pallone o di essere in fabbrica.

Alla fine, anche per una questione di probabilità, dai piedi della lucchese esce una azione che non viene vanificata da nessun errore tecnico da disperazione e un preciso lancio trova la testa di Bortulossi che fa sponda per il solito Fanucchi, che stoppa e insacca, portando alle Pantere la vittoria. Certo la difesa del Prato era svagata, forse stavano guardando verso la tribuna per capire se il loro pubblico fosse gente in carne e ossa o le già citate sagome, ma buon per la Lucchese che grazie a questo gol fondamentale può riunirsi coi suoi tifosi per i festeggiamenti finali. Se avesse vinto il Prato i giocatori biancazzurri non avrebbero avuto nemmeno nessuno con cui condividere la gioia: questo non è calcio.

Dalle stelle alle stalle in questo campionato grottesco è un niente, così qualcuno già faceva sogni di spareggi promozione raggiungibili infilando un filotto di vittorie, altri pregavano in ginocchio di finire semplicemente il campionato evitando qualsiasi coda che non avrebbe fatto altro che prolungare un'agonia che ormai si protrae da diversi mesi. La realtà ci pare che sia che il vero campionato della Lucchese sia finito prima dell'inizio della pantomima sulla vendita della società e che ora ci sia per lo più da pensare a mantenere la categoria nell'ennesima attesa di una stagione più decente.



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