Rubriche : romanzo rossonero

I rossoneri lottano, ma perdono

lunedì, 17 settembre 2018, 13:00

di alessandro lazzarini

Quando al Porta Elisa inizia il campionato di LegaPro bastano pochi istanti per rendersi conto che l'idea che il campo avrebbe saputo cancellare le miserie estive altro non era che una mera illusione. Lo stadio è più deserto del solito, il pubblico freddo fatica a riconoscere una squadra cui è stata strappata l'anima nella misura in cui se ne sono andati tutti i ragazzi che in qualche modo erano diventati i volti e il carattere della maglia che i tifosi venerano. Non è una questione tecnica, è un fatto di appartenenza, di conoscenza della storia e dell'ambiente che creano una continuità di relazione fra giocatori e gente, onere affidato a cavalli di ritorno come Favarin e De Feo, oltre che a qualche giovane comprimario, che però alla prima fanno l'effetto di vecchi grandi amici che si ritrovano dopo averli persi di vista per tanto tempo.

Le miserie cui ci riferiamo ovviamente sono in primis la demenziale vicenda societaria della Libertas, che non stiamo a raccontare per l'ennesima volta, e che ha lasciato strascichi devastanti: oltre a una squadra smantellata, l'assassinio di qualsiasi entusiasmo calcistico nella città e l'arrendevole consapevolezza di un presente e un futuro fatto di inevitabile mediocrità. La seconda miseria è il modo in cui l'attuale proprietà gestisce la funzione sociale del suo compito, cioè un proprietario che non rilascia mai una dichiarazione se non a fidi che raccolgono i suoi sussurri suggeriti, che non gioca mai a carte scoperte con il pubblico e che di conseguenza umilia a annichilisce la passione genuina e popolare di coloro per il quale la Lucchese non è solo un oggetto di mercato o una impresa, ma un sogno d'evasione e una speranza.

La terza e forse più grande miseria è il calcio italiano in generale: chi pensa che la mediocrità della nazionale azzurra sia solo un problema sportivo non ha capito niente del pallone e della sua significanza sociale e popolare. Il calcio è in realtà lo specchio del Paese, del sistema Italia, ovvero un'istituzione in mano ad incapaci il cui unico pensiero è ridurre qualsiasi concetto al numero, dove il numero sono profitti e il concetto il mercato. I campionati minori sono nel caos più assoluto, inettitudine e pavidità non hanno ancora portato alla composizione dei gironi, addirittura alcune squadre non sanno la loro categoria di appartenenza; ne vengono partite rimandate, partite giocate a seconda degli umori delle società, improvvisazione. Ma l'apice del degrado è l'inserimento in serie C delle squadre B delle grandi società italiane, o meglio di una sola, la Juventus. Ebbene sì, dopo anni in cui questa possibilità sembrava la panacea contro la povertà di talenti e si inneggiava all'imitazione dei campionati stranieri dove le seconde squadre sono inserite da anni, solo i bianconeri ne hanno iscritta una e, nota bene, hanno sì messo in formazione qualche prodotto del vivaio, ma nel complesso hanno fatto mercato comprando giocatori come una qualsiasi società di terza serie. Una pagliacciata assoluta che si completa con il fatto che la squadra B può vincere il campionato ma non può retrocedere, in sostanza un’autentica epidemia di colera fra i lebbrosi che toccherà il suo apice quando la 'signorina' scenderà sui vari campi e sulle tribune compariranno i servi della gleba del calcio dei grandi capitali che mai avevano pensato di andare a vedere la squadra della loro città, come un negozio di lusso che in un angolo espone cianfrusaglie per poveracci. 

Qualcuno si attarderà a considerare questo ragionamento come provinciale, ma è sempre bene ricordare che il pallone è speciale perché è lo sport nel quale la gente può riconoscersi, fare comunità e unirsi socialmente, quindi indirizzarlo verso alcune realtà che possono sognare per tutte le altre, ovvero identificarlo con multinazionali senza identità specifica, significa ucciderlo e renderlo rabbioso sfogo dove la vittoria-profitto non è importante, ma è l'unica cosa che conta. Il che poi è quello che è già accaduto e poco ha da indignarsi chi vede nei dibattiti e nella dialettica pallonara solo aggressività, scherno e invettiva verso l'avversario e cultura della sopraffazione: la rabbia è ciò che resta di qualsiasi contesto privato del sogno. 

I sodalizi di LegaPro dovrebbero rifiutarsi di scendere in campo contro le squadre B: sono un'umiliazione antisportiva per i tifosi delle loro squadre. Seconde squadre, scuole calcio, costruzione di talenti a partire dalla primissima infanzia anche a costo di importarli dai paesi poveri come oggetti a basso costo per rivenderli in vista dell'utile: ecco ciò da cui dipende la mediocrità dei nostri giocatori. Il calcio si impara nelle strade, si affina giocandolo alla meglio laddove una palla tonda è l'unico requisito e solo a un certo punto si inserisce il gioco nella tattica, dove estro e spontaneità sono il valore aggiunto che determina la differenza fra campioni e utili comprimari. L'idea dell'industria dei calciatori è sballata e demenziale, come dimostra ad esempio la piccola Croazia, dove si cresce tirando calci nelle piazze e dove il talento è quindi all’ordine del giorno. Eppure la gente digerisce tutto ciò senza batter ciglio, il che finché si parla di sport sarebbe anche una piccola cosa dopotutto, ma in realtà è lo specchio dell'atteggiamento del popolo anche nei confronti di fatti più grandi, cioè un popolo abituato dalla propaganda a mangiare merda e assaporarla come cioccolato, convinto che per dar senso alla proprie insignificanti vite basti esporle sottoforma di apparenza alla mercé di chiunque e quindi divenuto incapace di qualsiasi lotta in direzione di un ideale, qualsiasi esso sia.

Questo più o meno è il contesto in cui debutta la nuova Lucchese, che non sembra nemmeno tanto male e in fondo c'è qualche barlume di speranza in attesa che i giocatori abbiano acquisito qualcosa dello spirito della maglia che indossano. Certo si vede fin da subito la grinta di Favarin, non ben supportata da De Feo e dagli avanti, ancora palesemente indietro di condizione, così quando nel secondo tempo l'allenatore è costretto a mandare sul campo una formazione sostanzialmente primavera, la Libertas si squaglia come neve al sole, ma non per demerito completamente suo. Certo l'Arezzo era già salito di tono, ma il colpo di grazia lo infligge l'arbitro lasciando i rossoneri in dieci per una espulsione ridicola, in seguito a un fallaccio palesemente involontario, proprio uguale a quello che poche ore prima si era visto in serie A, dove però lo juventino Cancelo per analogo intervento era stato solo (giustamente) ammonito. In inferiorità numerica e con solo un paio di giocatori sopra i vent'anni, la prima casalinga non poteva che degenerare in una sconfitta, che certo non era il modo migliore per iniziare per una squadra e una società che oltre al danno per esser cadute vittime di un avventuriero scellerato, dovranno pure sorbirsi la beffa di una penalizzazione in classifica. 

Ricordiamo ai lettori che il Romanzo Rossonero è una appendice a ruota libera delle gesta calcistiche dei rossoneri che non intende necessariamente raccontare i fatti di campo, già ampiamente dettagliati altrove. L'assunto da cui è nata l'idea è la stretta relazione fra passione calcistica e società, ovvero la dimensione 'popolare' del gioco del calcio che rende la 'partita' e l'attesa della partita molto più che la semplice fruizione di uno spettacolo. Con questi presupposti l'appuntamento domenicale con le gesta sportive della Libertas è l'occasione per una digressione che parte dal calcio e può andare a toccare qualsiasi aspetto della contemporaneità, a discrezione degli autori e della loro libertà di opinione e di pensiero. Oltre alla conferma di Simone Pellico, quest'anno sarà anche Emanuela Lo Guzzo a portare avanti la rubrica.



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