Rubriche : romanzo rossonero

Becchi e bastonati

martedì, 13 novembre 2018, 11:43

di emanuela lo guzzo

Il novantanovesimo derby del foro arriva in un pomeriggio di novembre, in una giornata d’autunno che a Lucca ha il colore delle foglie cadute dagli alberi sulle mura e in circonvallazione. Il derby diventa presto nero come il buio della ragione di chi mette il proprio ego istituzionale davanti alla sicurezza della gente in nome di regole e norme regolarmente bypassate poi in altri contesti cittadini. L’odore del match non è quello delle caldarroste né quello dell’erba bagnata o dei fumogeni. I primi avversari indossano colori nerazzurri ma incredibilmente non sono pisani. Da un lato della medaglia Lucchese-Pisa oggi ha la faccia pulita e colorata di rossonero dei tanti bambini che accompagnano felici le squadre in campo e del raccattapalle con la maglia della Lucchese che non contiene la propria esultanza al gol dei nerazzurri sotto la est. Sincerità, cosa assai rara, in un mondo del pallone sempre più colmo di mercenari e frasi fatte. Il coraggio limpido di tifare la squadra della propria città pur indossando la maglia di un’altra. Non è colpa sua, ma della cecità di un club votato al culto dell’approssimazione, del tanto apparire e del poco essere. L’altra faccia della medaglia rivela un derby sporco di presunzione e arroganza, macchiato dalle responsabilità oggettive di società e istituzioni ancora una volta troppo concentrate a specchiarsi nelle proprie vanità e a puntare immancabilmente il dito verso l’esterno piuttosto che a impegnarsi per i propri tifosi e per i propri cittadini.

Nella grottesca gara a chi ce l’ha più lungo, a vincere saranno solo sterilità e impotenza. Verranno raccontate infinite versioni, quelle concordate, quelle di comodo, quelle degli assenti. La verità è che l’eco del rumore delle manganellate graffia le corde della passione, profana il luogo sacro dei tifosi, affoga la festa, piomba a sparecchiare la tavola del pranzo in famiglia della domenica. E non venite a raccontare la favoletta delle ragioni di sicurezza a noi che i settori ospiti degli altri stadi li conosciamo davvero e che, tanto per citare l’ultima trasferta, domenica scorsa abbiamo rischiato l’ultimo menisco sui gradoni dello stadio di Piacenza dove si scivolava da fermi. Nel lassismo generale quindi, anche la beffa di dover credere all’impennata di perfezionismo delle istituzioni lucchesi? Nel XXI canto dell’Inferno, scritto da Dante nel 1308 proprio nel corso della sua permanenza a Lucca, l’autore, con riferimento alla classe politica e dirigenziale, parla di una città piena di barattieri, dove “del no, per li denar vi si fa ita”, il no che con il denaro diventa sì. Chissà cosa ne penserebbe oggi dopo oltre 700 anni.

Il derby inizia subito dopo la fine della gara vinta a Piacenza. “Tutti in curva” è l’appello de La Meglio Gioventù, il gruppo organizzato della Curva Ovest, raccolto e diffuso anche dal resto della tifoseria. E più che un appello è proprio un desiderio, una richiesta, una chiamata. La società però ha altre priorità e soprattutto ha la colpa imperdonabile di ricordarsi della propria gente solo quando si avvicina la prospettiva dell’incasso buono. Un assist per il Prefetto. No al “Tutti in curva”. E no per metà anche alla coreografia dedicata al pacifico ed educato ricordo di Gabriele Sandri, ucciso esattamente undici anni fa. Non viene fatta passare nemmeno la metà dei cartoncini realizzati in barba all’impegno profuso e ai soldi spesi. Tensione, rabbia, trattative ma nessun Genny la Carogna a dettare condizioni. Un’intermittenza di apparenti aperture e repentine chiusure che inaspriscono il clima. Il dubbio di aver sbagliato gara e di trovarsi nel caos del derby di Belgrado. La gente in coda non chiede di entrare senza biglietto, ma solo di poter andare in curva nonostante abbia speso il doppio per un biglietto di gradinata. Persone disposte a sborsare venti euro per assistere in piccionaia alle performance di calciatori come Bernardini in campo con le autoreggenti, mica jihadisti in procinto di compiere un attentato. La gente, semplicemente armata di biglietto e documento, è pressata in coda, qualcuno perde la pazienza, qualcun altro spinge. Saltano i nervi e vanno in scena la vergogna e il fallimento.

La vista di una squadra delle forze dell’ordine in assetto antisommossa all’interno del tempio del tifo lucchese ci causa un profondo senso di mortificazione. È violata la liturgia della domenica dei calciofili rossoneri. È come una canzone di guerra all’interno dell’omelia della messa di Pasqua. La Ovest, e con lei Moreno Micheloni, si rigira nella sua ribellione solitaria, abbandonata a sé stessa nella rivendicazione dei propri diritti, lasciata a fare l’amara conta dei danni e a leccarsi le ferite, a prendere coscienza che mentre chi sbaglia viene pagato, a pagare per gli errori degli altri sono sempre e solo i tifosi. Il riassunto del match? Nello squallore di quanto accaduto anche la beffa del risultato. Marconi e il tacco della vita alla Del Piero o alla Mancini che decide la gara. Rossoneri contratti, portieri protagonisti, un Lisi indemoniato e un Mauri che si infortuna proprio quando manca anche Strechie. Nella fiera delle ingiustizie ecco puntuale anche la fin troppo generosa espulsione di Martinelli che condanna la Pantera a inseguire in inferiorità numerica.

La goliardia delle due tifoserie, gli immancabili e coloriti sfottò che contornano il gioco ma che non causano alcun problema di ordine pubblico. Il triplice fischio restituisce la Lucchese ai suoi soliti mille in casa e trenta in trasferta, gli unici su cui questa gloriosa maglia può contare per risalire il baratro sportivo ma soprattutto umano nel quale è stata fatta sprofondare. Al di là delle dichiarazioni di rito non abbiamo dubbi che mister Favarin e i suoi ragazzi abbiano ben capito la situazione. A togliere ogni dubbio la presenza in tribuna d’onore di uno dei due famosi avvocati pisani. Niente altro da aggiungere se non che domenica i rossoneri, ultimi in classifica e soli insieme a noi, affrontano il Siena in un nuovo derby e hanno bisogno del sostegno di tutti, capienza permettendo. 



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