Rubriche : romanzo rossonero

Ode alla Vittoria

sabato, 10 novembre 2018, 08:34

di simone pellico

Il 4 novembre 1918 il bollettino di guerra n. 1268 annuncia la vittoria italiana nel primo conflitto mondiale. L’Italia davanti alla prova di maturità ha superato l’ostacolo più grande, coronandosi con l’alloro della vittoria: una pianta che prospera nella nostra penisola dai tempi di Roma.

L’Italia aveva già vinto attendismo, disfattismo e i complessi di inferiorità di chi non riesce a immaginarsi altro che come un popolo di camerieri con il mandolino in mano. Aveva mosso le vele seguendo il vento interventista, trovandosi così a solcare le onde del passaggio epocale. Partita fanciulla, arriverà donna turrita. Nelle trincee si farà l’unità d’Italia, si creeranno miti fondativi, si riveleranno eroi e si sprigionerà l’energia che darà il tono al secolo. 

 Il 4 novembre 2018 la Lucchese si trova sul campo del Pro Piacenza. I tifosi sugli spalti hanno già vinto code autostradali,  nebbia e rabbia per gli undici punti di penalizzazione che mandano la Pantera dalle stelle alle stalle. I tre punti non sono più il bottino per fare un buon campionato: sono i punti necessari per suturare una ferita che può rivelarsi mortale. L’obbiettivo è quindi solo uno: vincere. 

Dall’altra parte i gemelli rossoneri, travagliati come si confà ormai a una squadra di serie C. I lucchesi comunque si schierano, sistemata la divisa a strisce saltano fuori dalla panchina per dare l’assalto. Una partita di trincea, dove la fucilata la spara Sorrentino da fuori area. Sarà il colpo che vale i tre punti. 

La Pantera vincendo ha così risposto a una chiamata lunga cento anni, suonando nell’immensamente piccolo le corde toccate dai soldati italiani nella notte dei tempi. Ricordando che alla vittoria si risponde fremendo, come ripetitori dell’energia prodotta sul campo. Perché alla fine della battaglia, al 90o, non termina semplicemente la partita. Non si ricordano  solo il sudore e gli infortuni. Non si parla di inutile spreco di energia dei giocatori. Perché alla fine, la cosa che è successa, oggi come cento anni fa, è l’inverarsi del mito collettivo della Vittoria.



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