Rubriche : romanzo rossonero

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giovedì, 21 febbraio 2019, 14:49

di emanuela lo guzzo

L’ossigeno dopo l’apnea, un sorso d’acqua dopo uno scatto prima di riprendere la corsa. I tre punti strappati dalla Lucchese allo Stadio Fratelli Paschiero di Cuneo, sono la bandiera della ripartenza, l’immagine in movimento dell’irrefrenabile voglia di salvezza di questa squadra. Una vittoria che rappresenta la risposta irriverente alle menzogne, alle trame oscure, alle amarezze e alle mortificazioni subite dalla Pantera negli ultimi otto mesi da parte dei ragazzi di mister Favarin e di tutti quelli che non hanno più voglia di continuare a fingere che vada tutto bene.

Un successo che suona come uno schiaffo a mano aperta ai colpevoli e ai loro complici, a chi ha tradito una città e 114 anni di storia, a chi da mesi distorce indisturbato o quasi gli orizzonti rossoneri trasformando in incubo quell’imminente futuro che dovrebbe invece avere i contorni delle ambizioni. Cuneo-Lucchese, recupero della quinta giornata di ritorno, passa attraverso Genova, a pochi metri dalla voragine davanti a cui i drammi sportivi cedono il passo a riflessioni più profonde. La vista di quel che resta del Ponte Morandi ci sbatte in faccia il ritratto del dissesto che si riflette inevitabilmente anche sullo sport più popolare dove prosperano demagogia e ipocrisia.

A Cuneo, a meno di 40 km dal confine con la Francia, appena quattro giorni fa la squadra di casa, che vive una crisi societaria simile a quella della Lucchese, ha avuto il coraggio di sollevare il polverone sulla Lega Pro per poi sentirsi accusare, dagli immancabili e male informati profeti richiamati dall’odore di scoop, di scorrettezza e mancanza di fair play. Senza il clamore di quel 20-0 - rifilato non a ragazzini di settore giovanile, ma a mercenari consapevoli e consenzienti prestatisi al gioco – e senza l’evidenza di un campionato falsato in ogni suo numero, dalla differenza reti alla classifica marcatori, magari il Pro Piacenza sarebbe ancora una scheggia impazzita in giro a incrementare i propri debiti.

Nel rettangolo verde incastrato tra i condomini della cittadina piemontese in un mercoledì pomeriggio di sole, si gioca un match delicatissimo tra due squadre che si specchiano l’una nei problemi dell’altra. Entrambe vittime di un sistema malato e di norme talmente approssimative da consentire a uomini senz’anima e senza scrupoli di aggirare regole, calpestare sogni e sacrifici proclamandosi pure benefattori. A Cuneo, nel derby tra le due super penalizzate, viene finalmente premiato l’orgoglio dei rossoneri che dimostrano ancora una volta il proprio valore umano. Capitan Bortolussi, gagliardo capopopolo della rivolta contro la società dei tre romani, infila il gol decisivo a conquistare l’incontro e a preservare dallo sfilacciamento quel cavo sottile che ha finora garantito un equilibrio, sia pur precario, tra il burrone e la fantascienza di una stagione folle. Le due solitudini della squadra e dei tifosi, pochi ma buoni, si fondono nuovamente in un’unica e toccante battaglia comune. I deferimenti dei vari Ferruzzi, Bini e Ottaviani servono solo a distribuire apparentemente le responsabilità dello scempio, quando in realtà è chiaro ormai (quasi) a tutti quali e quanti siano i nomi e i cognomi degli artefici di questo strazio. Mesi di omertà, di segreti sussurrati all’orecchio di questo o quel tifoso da parte di chi, dalle stanze del potere, ha prima taciuto gli inganni per poi selezionare accuratamente le informazioni da far trapelare senza metterci la faccia in modo da mettersi al riparo da tutto. Mesi di sermoni di pontefici telecomandati da interessi privati o da quelli di amici o di amici degli amici, rimasti impigliati nel groviglio di fili delle marionette mosse dall’alto da chi pensava con presunzione di poter rimanere occulto.

La vittoria della Lucchese a Cuneo è un piccolo passo lungo la salita per la salvezza, ma è anche un impermeabile contro la pioggia di strategie subdole ventilate e messe in atto per affondarla definitivamente. A Cuneo i ragazzi di Favarin hanno dato dimostrazione che il calcio è in fondo un gioco semplice e che per vincere servono cervello, cuore, polmoni e attributi. Per fare calcio invece servono serietà e soldi. Chi vuole dunque da lucchese salvare seriamente la Pantera, lo faccia oggi, in una categoria professionistica adeguata al suo blasone invece di accettare inviti per lo sciacallaggio di nicchia. Si chiama senso di appartenenza.



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