Detto tra noi

Se questo è calcio

domenica, 13 settembre 2020, 16:05

di fabrizio vincenti

Una prima assoluta, almeno per noi che avevamo saltato la gara contro la Fiorentina. Quella contro l'Empoli è stata la prima volta che ci siamo trovati a assistere di persona a una gara senza pubblico. Non ci era mai successo, a memoria. Limitazioni di ogni genere, assenza dei tifosi ospiti, amenità burocratiche varie, ma stadi chiusi no. 

E arrivare al Castellani di Empoli è stato compiere un viaggio di persona nell'inferno che il calcio sta vivendo. Forse più di altri settori, basti pensare che al cinema si può andare, così come al ristorante e persino vivere una movida riveduta e corretta con distanziamento. Il calcio no, il calcio deve solo subire i diktat di personaggi che in un'epoca solo lievemente più normale sarebbero allo stadio, a vendere bibite, oppure se ne starebbero in qualche Ong a scagliare anatemi contro il mondo del calcio stesso, simbolo del capitalismo, di una società opulenta e di una competizione sportiva che richiama e sublima la guerra. Nessuna meraviglia che il calcio venga fatto agonizzare, soprattutto quello professionistico, perché, come sapete, tra i dilettanti gli spettatori sono ammessi, sia pure con ovvie limitazioni. Nel calcio professionistico, a cui si chiedono tamponi ogni quattro giorni e una infinità di altre precauzioni per la modifica cifra di migliaia di euro al mese, nessuno spazio per i tifosi. E nemmeno per i raccattapalle. 

Al Castellani, dove si respira una organizzazione da alti livelli visto che la società azzurra, mentre la Lucchese agonizzava per decenni, ha collezionato campionati su campionati in Serie A o, al massimo, in Serie B; al Castellani, dicevamo, nessuna auto della Polizia, un pullman con il cartello Lucchese parcheggiato per strada, qualche vettura degli addetti ai lavori. E un silenzio che fa male. Una tribuna vuota, tristemente vuota. I giocatori giocano, la palla rotola, i gol (nella porta sbagliata) arrivano, gli allenatori richiamano agli schemi  i calciatori. Ma è tutto surreale. Fa male assistervi, se non fossimo presenti per ragioni professionali, avremmo alzato subito i tacchi. Forse mai come a Empoli abbiamo sperato finisse la gara e l'arbitro non concedesse almeno il recupero. E' come rivedere un amore e non riconoscervi nulla di quello che fu. Un triste spettacolo per pochi addetti ai lavori, una sorta di prova generale dello spettacolo vero, che non si sa se e quando andrà in scena. Si parla di fine ottobre. Forse. Chissà. Mentre continua il bombardamento di dati sull'epidemia, spesso con una chiave di lettura che definire terroristica è dire poco.

Nel frattempo il calcio affonda: lo ha detto senza mezzi termini il presidente della Lega Pro Ghirelli. Niente incassi, le sponsorizzazioni che non si sa perché dovrebbero essere concesse in impianti che restano desolatamente chiusi, costi crescenti. Un quadro allarmante, a cui deve essere aggiunto il generale disinteresse per il calcio. In tanti non riescono a digerire un surrogato di quello che era il pallone. In tanti tendono a allontanarsi, perché non riescono a concepirlo senza la gente. E con quel silenzio tombale che squarcia l'aria e ci ricorda che questo non èciò che amiamo. E' un surrogato che rischia, a lungo andare, di uccidere il calcio stesso. E la passione di tanti. 



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