Galleria Rossonera
domenica, 31 marzo 2024, 09:35
di gianluca andreuccetti
"Niente ferisce, avvelena, quanto la delusione". Una citazione di Oriana Fallaci che può essere applicata, oltre che alla vita di tutti giorni, anche al calcio. La storia di una società non passa solo da vittorie e soddisfazioni, ma anche da grandi delusioni. A volte anche da favole incompiute. Sfogliando l'album dei ricordi, la stagione 2001-2002 è una di quelle che rimarrà per sempre nella mente di tantissimi tifosi della Lucchese. Dopo aver chiuso la stagione regolare al terzo posto, i rossoneri arrivarono ad un passo dal ritorno in Serie B, perdendo in modo rocambolesco il doppio confronto in finale playoff contro la Triestina. Fondamentale il lavoro portato avanti da Francesco D'Arrigo, tecnico di una squadra che riuscì a far sognare una città intera. Abbiamo intervistato proprio l'ex allenatore rossonero. Con lui non abbiamo parlato solo di Lucchese ma anche di tanto altro.
Quali furono i segreti di quella stagione che vi portò ad un passo dalla Serie B?
Innanzitutto, il nostro primo punto di forza è stato il fatto di avere alle spalle una società molto organizzata, composta da persone competenti come il presidente Grassi e il direttore sportivo Donatelli. In secondo luogo, a fare la differenza furono le qualità dei singoli giocatori.
Che ricordi ha della finale playoff persa contro la Triestina?
All'andata perdemmo per 2-0, a causa di grosse disattenzioni. Al "Porta Elisa" invece fu una gara bellissima dove riuscimmo a ribaltare la partita portandoci sul 3-1. Un risultato che, grazie al piazzamento maturato nella stagione regolare, avrebbe permesso alla Lucchese al termine dei supplementari di conquistare la Serie B. Poi nel giro di dieci minuti abbiamo sbagliato il rigore, siamo rimasti in dieci uomini e subito infine un gol. Il calcio a volte sa essere crudele.
Tralasciando il risultato finale, in occasione del match di ritorno a colpire fu la grande cornice di pubblico...
Credo che quella sia stata l'ultima volta che ho visto il "Porta Elisa" così pieno. A distanza di diversi anni, ancora oggi provo grande rammarico per tutti quei tifosi che credevano in noi.
Come giudica la stagione attuale della Pantera?
É difficile vivere un campionato quando ci sono delle alte aspettative ed esse poi in seguito non vengono rispettate. Dal fuori, questo lo reputo un anno transitorio con tanti cambiamenti e una proprietà nuova. I risultati sono sempre il frutto di una programmazione.
Negli ultimi anni secondo lei cos'è mancato alla Lucchese per competere ad alti livelli?
Una stabilità a livello societario. Questo è un aspetto fondamentale, a prescindere dagli allenatori. Una proprietà che abbia delle idee serie e che voglia investire sul proprio settore giovanile.
Un esempio da seguire?
A mio parere, l'Empoli è un modello a cui tutti dovrebbero ispirarsi. Rispetto ad altre realtà, gli azzurri hanno scelto di lavorare sulla crescita dei ragazzi del proprio vivaio, portando tanti di loro fino alla prima squadra. Per la Lucchese, la chiave dovrebbe essere quella di creare un progetto giovanile attrattivo. In tal senso, condivido la scelta di affidarsi a Massimo Morgia nel ruolo di coordinatore tecnico.
Sempre a livello giovanile, in Serie C esiste una società dalla quale la Lucchese può trarre degli spunti?
Forse il Pontedera, realtà che negli ultimi anni è stata capace di costruire un progetto a lungo termine.
Secondo lei come mai i ragazzi italiani, una volta usciti dal vivaio, non riescono a sfondare ad alti livelli?
Non sono pienamente d'accordo. Se un giovane ha qualità ed è promettente riesce sempre a ritagliarsi un proprio spazio. Dall'altra parte, va detto però che la crescita dei ragazzi italiani è frenata dalla presenza di molti stranieri. Una logica sbagliata e che sta spingendo molti giovani a lasciare il nostro paese, andando ad arricchire diverse realtà estere.
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