Detto tra noi
sabato, 27 maggio 2023, 17:11
di fabrizio vincenti
Della magica serata che ha preso vita con "La Lucchese torna a città" porteremo sempre nel cuore alcune immagini e delle fitte al cuore che hanno regalato spasmi di indicibile nostalgia per pezzi della nostra vita. Porteremo le lacrime di alcuni dei protagonisti che sono saliti sul palco e che solo a qualche radical chic possono sembrare strane. Il calcio è vita, non solo business; il calcio è sentimento, non solo il baraccone dei suoi organismi pletorici; il calcio è radicamento, identità, appartenenza, non solo mercenariato. E lo spettacolo offerto dai tifosi rossoneri e da alcuni giocatori giovedì scorso ne è l'ennesima testimonianza.
Un'identità mai riposta, talvolta coltivata tra le umiliazioni, le sconfitte, i fallimenti, ma mai ammainata. Un'identità che contagia – qui come altrove, sia chiaro – perché il calcio è magico proprio per le tante identità, talvolta contrapposte ma che non impediscono, come in questi giorni di dolorosa emergenza, di vedere, fianco a fianco tifosi di squadre acerrime nemiche a supportare le popolazioni della Romagna. Tutto questo non lo capiranno mai chi ha la puzza sotto il naso, chi si riempie la bocca di anatemi verso le curve.
Dietro il Coro di San Michele, con quella folla che ha atteso per anni un gesto simbolico, abbiamo intravisto ragazzini con la maglietta, uomini e donne di mezza età, anziani che hanno ancora negli occhi successi rossoneri lontani. Non ci siamo potuti godere quell'atmosfera magica, perché eravamo impegnati a pochi centinaia di metri e, forse, è stato meglio così. Già troppa l'emozione generata da quello che attendeva tutti al Teatro del Giglio. Immagini. Voci. Racconti. Commozioni. Applausi. Boati. Sorrisi. Lacrime. C'è stato tutto. C'è stata, ancora una volta, la riprova di quanto la Lucchese sia dentro almeno una parte della città, che l'ha difesa, progetta, coltivata anche nei momenti più bui.
A volte ci chiediamo chi ce lo fa fare di cumulare impegni, spese, stress, talvolta per ricevere critiche: la risposta ci è arrivata, ancora una volta, da tutti coloro che amano la Lucchese. Da tutti voi. Dalle lacrime di uno straordinario Toni Carruezzo, dalla commozione e nostalgia di un peperino come Mario Donatelli, dalla voce rotta dall'emozione di Matteo Nolé, dallo sguardo felicemente stravolto di Massimo Morgia, dall'orgoglio di Marco Di Vito, dalla sensazione di sentirsi a casa del romano Jacopo Coletta. Dall'impegno senza sosta di tanti volontari, molti dei quali si sono messi in ferie per l'occasione, che hanno reso indimenticabile la giornata e che nulla chiedevano se non che tutto andasse nel migliore dei modi. Dalla spinta dell'assessore Barsanti che non c'ha dormito la notte sino a che non ha visto quella benedetta targa affissa, mentre noi, nel corso dei mesi, lo prendevamo in giro dicendogli che, di questo passo, non ce l'avrebbe fatta nemmeno lui travolto da una burocrazia borbonica. Ma, soprattutto, dalla voglia di tutti voi di continuare a amare la Lucchese, di abbracciarla, anche e forse soprattutto quando è debole, ferita, sconfitta. Lunga vita a questo sogno che ha 118 anni, un sogno che ci coccola da generazioni. Ce lo teniamo stretto.
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