Detto tra noi
sabato, 8 novembre 2025, 09:40
di fabrizio vincenti
“Sarà fondamentale trovare un punto di equilibrio tra la necessità di garantire la sicurezza e il dovere di permettere ai tifosi di assistere alla partita. Non lo facciamo solo perché si tratta dell’Avellino: lo avremmo fatto per qualsiasi altra squadra in una situazione simile. È giusto che i tifosi possano esserci, e magari gioire, se questa gara sarà davvero quella decisiva per la promozione”: queste parole – segnatevi la parola “dovere” – decisamente condivisibili sono state pronunciate nell'aprile scorso dall'attuale ministro dell'Interno Matteo Piantedosi. Il suo Avellino era a un passo dal sogno del meritato ritorno in serie B e i tifosi in effetti, sia pure su un campo neutro come quello di Potenza, poterono giustamente assistere alla gara.
Non così possono dire i tifosi di mezza Italia, ormai domenicalmente. Se si guarda soltanto all'ultima determinazione dell'Osservatorio per le Manifestazioni Sportive – un organismo pletorico con una ventina e passa di partecipanti, persino di Italo Treno e Trenitalia, ma guarda caso senza rappresentanti degli Slo, le figure delle società che fanno da collegamento con i tifosi e che settimanalmente sono investiti di richieste della questure – sono oltre venti le partite oggetto di provvedimenti, molte di serie minori. Da quest'anno si è aggiunta la “moda” di decidere all'ultimo: il caso classico è stato per Pisa-Lazio quando erano già stati venduti 1100 biglietti per gli ospiti che l'allenatore dei capitolini Sarri ha definito una “scelta vergognosa”. Scelte prese a pochissimo dalla gara, scelte di fatto non impugnabili, ci hanno provato i tifosi del Pisa per andare a Milano attraverso il Tar. Scelte motivate dal supremo interesse dell'ordine pubblico. Già, proprio quell'ordine pubblico di cui viene fatto scempio ogni giorno nelle grandi stazioni ferroviarie, sui treni, sulle manifestazioni politiche non autorizzate ma che si tengono lo stesso, sugli incidenti e danneggiamenti causati da personaggi che erano presenti durante le manifestazioni. Con questo metro di giudizio, quello dell'ordine pubblico, dovrebbero essere vietati molti cortei visto quello che succede e la incapacità manifesta di contenere le violenze. E invece i provvedimenti draconiani scattano solo quando si parla di calcio. Un laboratorio ormai da decenni come sosteneva il sociologo Valerio Marchi dove mettere a punto strategie di restringimento degli spazi di libertà da estendere, semmai, al resto della società ma solo più oltre.
I tifosi della Lucchese, solo per venire alle ultime settimane, hanno assistito a tutto. A Viareggio è stata vietata la trasferta, con i tifosi di casa che, senza alcun tipo di controllo all'ingresso, hanno portato sulle gradinate ogni bene. Bombe carte. Bottiglie in vetro. Fumogeni. Ovviamente lanciando il tutto e senza che vi fosse un agente dotato di una telecamera. Telecamere invece che erano in abbondanza in mano agli agenti a San Giuliano Terme dove è stato possibile assistere a una prova muscolare del prefetto e del questore di Pisa che, dopo aver rimediato una figura non delle migliori in occasione delle gare dei nerazzurri con Fiorentina e Verona, hanno pensato bene di militarizzare la località termale con tanto di agenti in assetto di guerra in un numero, a occhio, superiore ai tifosi di casa. Ovviamente, lo spauracchio era il possibile arrivo degli ultras pisani, una ipotesi inconsistente per chi segue il calcio. Le spese del dispositivo, però, graveranno sui contribuenti. Da ultimo il divieto di Massa, una scelta molto grave e motivata da un episodio ancora avvolto nel mistero (alla Questura di Lucca pare nemmeno lo conoscessero) e non certo di gravità assoluta che avrebbe coinvolto qualche tifoso (il numero non viene precisato...) sul treno che riportava i supporter a Lucca da San Giuliano. Tutto questo è bastato per vietare una trasferta, impedire una giornata di festa con le due tifoserie gemellate da una vita, negare un incasso a una società dilettantistica, criminalizzare gli appassionati della Lucchese. In sostanza, la scelta è chiara: colpirne cento per non educarne uno. Un vero assurdo.
E, a nostro avviso, le responsabilità non sono solo e tanto delle questure e delle prefetture, che ricevono indicazioni, ma della gestione dell'ordine pubblico ai suoi massimi livelli. E' lì che viene dettata la linea, il livello di tolleranza, le priorità. La scelta è politica e dunque non può che essere il ministro a risponderne politicamente. E nei governi è bene vi siano i politici, i tecnici devono essere il naturale supporto. Il problema, e qui apriremmo un altro discorso, è che ai vertici di un Ministero così delicato non c'è un politico ma un tecnico che in più di una circostanza ha manifestato i suoi limiti: vogliamo parlare di come è stato gestito e più volte cambiato il quadro per il centro immigrati in Albania oppure si pensa sia solo colpa dei magistrati “comunisti”? Vogliamo ricordare, come dianzi, la gestione dell'ordine pubblico durante le manifestazioni politiche? Vogliamo ricordare in che stato versano i centri di tutta Italia con zone ormai in cui c'è da avere paura soltanto a passare? Vogliamo parlare che il numero di espulsioni di stranieri clandestini è ancora, sia pure in crescita, risibile? Vogliamo parlare di cosa sono i treni e non tanto e non solo quando a bordo ci sono i tifosi? E' questo che aveva promesso il governo in carica? Il problema nasce lì. E al governo Meloni viene da chiedere: di quale ordine pubblico parlate? Solo quello negli stadi?
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