Galleria Rossonera
domenica, 23 giugno 2013, 08:31
di diego checchi
La voglia di stare con i ragazzi, di farli crescere e riuscire a vederli giocare in squadre importanti di Serie A: è questo l’auspicio di Riccardo Nardi, ex allenatore della Lucchese adesso al Lucca 7. Quando era in rossonero, prima del fallimento con Fouzi Hadj, fu lui a convincere Federico Mattiello a continuare a giocare a calcio e a non dedicarsi al tennis, intravedendo in lui le grandi doti tecniche e fisiche che lo hanno portato ad essere un punto fermo della primavera della Juventus. Oltre a Mattiello, nella sua squadra c’erano anche Leonardo Citti, anche lui alla Juventus, e Leonardo Frugoli, ora all’Empoli. Sentiamo dalle sue parole come vede il calcio giovanile e se, soprattutto, in futuro avrà l’ambizione di allenare i grandi.
Cosa sta facendo adesso?
“In questa stagione ho allenato i giovanissimi regionali del Lucca 7. Ormai sono 5 anni che lavoro in questa società e devo dire che mi trovo molto bene: al Lucca 7 c’è grande passione e competenza per il calcio giovanile”.
Che tipo di ambizioni ha per il futuro?
“Nella prossima stagione rimarrò al Lucca 7, continuando con la categoria dei giovanissimi regionali. A me piace fare un passo alla volta ed ora penso solo alla stagione che verrà. In un futuro, non escludo certamente di prendere in esame altre proposte, sempre se arriveranno. Nella mia avventura al Lucca 7 ho avuto ottimi risultati, ma non sono uno di quegli allenatori che vanno a raccomandarsi con i direttori sportivi e i presidenti per trovare un ingaggio. Se una società mi vuole, mi deve chiamare e proporre qualcosa di importante, non ho più l’età per poter sognare… Con questo non voglio dire che non mi sia dispiaciuto lasciare la Lucchese, dove ho lavorato molto bene per 2 anni. Dopo il fallimento, però, sono state ridotte le squadre giovanili e sono state fatte altre scelte”.
Come imposta il suo lavoro con i ragazzi e come riesce a capire le qualità umane e tecniche del suo gruppo?
“Io sono fatto così, magari in casa non riesco nemmeno a cambiare una lampadina, ma ho una dote innata per capire e relazionarmi con i ragazzi. L’importante è avere ben chiaro l’obiettivo che si vuole raggiungere ed il contesto in cui ci si trova. Sono dell’avviso che un allenatore debba avere una relazione continua con il suo gruppo e spiegare le scelte che si fanno attraverso il dialogo. Poi, è ovvio che non tutti i ragazzi possono essere contenti, c’è chi gioca di più e chi gioca di meno ma l’importante è rispettare tutti allo stesso modo e non trascurare nessuno”.
Cosa cambia ad allenare i ragazzi rispetto ai grandi?
“Con i ragazzi si può incidere di più sotto tutti gli aspetti, sia dal punto di vista calcistico che a livello umano, mentre nei grandi bisogna fare tutto un altro tipo di lavoro, basato esclusivamente sul risultato sportivo. Voglio puntualizzare anche un altro aspetto: con i ragazzi in età evolutiva, c’è anche il rischio di fare danni e quindi ci vogliono sempre mille attenzioni ma in cambio, i ragazzi si mettono completamente a disposizione dell’allenatore”.
Qual è stato il suo anno migliore da allenatore?
“I due anni che ho fatto alla Lucchese mi hanno riempito d’orgoglio perché allenavo le giovanili della squadra più importante della mia città e ho potuto far crescere alcuni ragazzi che adesso sono in primavere importanti di squadre di Seria A e B. Anche al Lucca 7, però, mi sono tolto della grandi soddisfazioni perché ho vinto un campionato e per tre anni consecutivi sono arrivato alle finale regionali”.
Come si è evoluto, negli anni, il calcio giovanile?
“Rispetto al passato, le cose sono molto cambiate perché le società hanno importanti entrate economiche dalle scuole calcio e questo può essere un bene per la crescita delle società stesse. D’altra parte, però, penso che i ragazzi comincino troppo presto a giocare a calcio e sia in loro che nei genitori si possono creare aspettative che poi possono essere disilluse. Il calcio vero comincia dalla categoria allievi in poi. Ai miei tempi, il nostro unico pensiero era quello di giocare a pallone il più possibile con l’unico scopo di divertirci e passavamo le giornate in cortile facendo anche la merenda con il pallone sotto il braccio! In questo modo, quando si andava a giocare in una squadra, avevamo una personalità più delineata. Adesso, invece, i ragazzi hanno molti più svaghi e magari passano le giornate al computer…”.
Cosa pretende dalla sua squadra in campo?
“È fondamentale che i ragazzi sappiano stare bene in campo e rispettare le posizioni ma sono dell’avviso che, fino ad una certa età, non debbano essere imprigionati negli schemi. Le cose più importante sono l’atteggiamento e la voglia di impegnarsi sempre al massimo”.
Nella sua lunga carriera di allenatore, ha qualche rimpianto?
“Alla fine, penso che le cose vanno come devono andare”.
Cosa pensa del momento che sta attraversando la Lucchese?
“Spero che questa società possa dare continuità al progetto Lucchese più di quanto non siano riusciti i precedenti proprietari. Per fare tornare la gente allo stadio bisogna uscire dai dilettanti, e bisogna far capire ai tifosi che ci sono programmi importanti”.
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