Rubriche : romanzo rossonero

Anno nuovo

martedì, 31 dicembre 2020, 09:07

di simone pellico

 Il calendario gregoriano arriva alla sua fine ciclica come una filastrocca, il 31 dicembre. Imbrigliato l’anno solare e il ciclo delle stagioni, scivola sulla nocca di una mano come la sabbia nella clessidra, prima di essere nuovamente capovolta. La sabbia di una spiaggia tropicale, la sabbia di un deserto agghiacciante. La sabbia come terra di campo coltivato, come terra di campo santo. La sabbia di grana d’oro, la sabbia di polvere interrogata da Arturo Bandini.

Ad ogni giro del grande orologio la mente resetta, azzera una parte di sé. Riporta gli occhi sul film appena trascorso, prima di chiuderli per un lungo momento e poi rigettarli come fari nella notte. Beve alla goccia come brindisi di capodanno le gioie e i dolori dell’anno appena passato, prima di asciugare la bocca con il sapore che resta. Salso come il mare, dolce come l’ambrosia, o più spesso agrodolce, amletico, indefinito come lo spirito di questo tempo.  

Il tatto si assenta. Le mani smettono di ordire la propria tela, di suonare la musica sul pianoforte dell’esistenza. Come quelle di un pianista che dopo l’affondo si librano in aria vibranti, mentre sotto di loro ondeggia il mare dei tasti ancora scosso dalla tempesta. Una linea sottile impedisce il passaggio, costringe a fermare i propri passi per sentire il rumore del mare alle proprie spalle, per capire se l’onda generata si potrà cavalcare, o ci spazzerà via. 

Il momento dei bilanci investe le cose maggiori come quelle minori. Le foto che si accumulano sono a colori o in bianco e nero. O rossonere, per chi segue una pantera come animale totemico. La fine dell’anno spezza la stagione calcistica in due, e pertanto ogni annus domini è come un Giano bifronte piazzato d’estate a guardare avanti e indietro. Le due mezze stagioni imprigionate nel calendario ci raccontano due vite consecutive ma distinte, come vagoni attaccati di treni diversi. 

Per la Lucchese a maggior ragione. Nell’arco di quest’anno, da gennaio a dicembre, sembra essere passato un secolo. Il 2018 si è aperto trascinandosi dietro la croce dei dubbi societari, le incognite sul presente e sul futuro, sulla proprietà reale della squadra. La partita vera si giocava fuori dal campo, ma i giocatori visibili avevano tutti un punto interrogativo come numero di maglia. E la Lucchese quella partita l’ha persa incassando punti di penalizzazione, multe, messe in mora. A marzo il risultato era già scritto.

 

In campo, invece, veniva costruito un miracolo. In campo e sugli spalti, dove i tifosi a difesa della propria torre iniziavano a diventare loro stessi dei monumenti, finanziando le spese della squadra lasciata orfana dalla proprietà. Tutto questo mentre una parte del mondo politico cittadino continuava la sua personale battaglia contro di loro. Il suo personale piano per rieducarli, attraverso il cambio di nome dello stadio, da dedicare a mister Erbstein non per il suo valore, ma per il suo dolore. Non con onore, ma per ricatto. Lo stesso stadio che poi non verrà difeso, ma chiuso in faccia all’araba pantera. 

 

L’amalgama che si forma fra giocatori e tifosi intanto diventa una parte della città. Il Porta Elisa non è più solo uno stadio, e una fortezza. La gioia di uno è la gioia di tutti, così come il dolore. E l’infortunio a fine marzo di Greselin fa urlare tutta la piazza. Una piazza che torna a essere importante grazie all’epopea del proprio martirio. Che nonostante tutto si gode la primavera e con le gambe rotte arriva al suo bel maggio di fondazione. E il 4 di quel mese, così come a Correggio, ripianta la sua bandiera in campo avversario prendendosi la vittoria e il passaggi ai play out. Che gioca e vince in un turbine che sfocia nella notte di Bisceglie, nella salvezza sul campo, in un principio di Giustizia che come raramente accade si invera nella nostra vita. La stagione si chiude con un’emozione capitale. L’anno invece continua. Mentre la Lucchese del miracolo vola nel cielo degli eroi insieme ai suoi tifosi, si stacca dal corpo rossonero il parassita che lo minava. E’ il terzo fallimento, affrontato a testa alta.

L’estate arriva come la piega fra le pagine di un libro. Le due pagine - le due mezze stagioni - dell’anno gregoriano si guardano riconoscendosi solo per i tifosi, sempre gli stessi. Per il resto cambia tutto. La società viene incarnata da una cordata di vecchie glorie, mentre i fantasmi del passato si dissolvono sullo sfondo. L’alfabeto del campionato da C scolora in D. Gli eroi di Bisceglie si sfogliano come i petali di una margherita e la maglie rossonere vengono indossate da nuovi nomi. Nuovi volti con cui familiarizzare, che hanno il compito improbo di bussare alla porta di cuori che si sono legati come mai prima alla squadra precedente.

Eppure il calcio è una dinamo di sentimenti che fa maturare piccoli miracoli. Il fiore rossonero, chiuso dall’ingiustizia, dopo l’inizio tremendo di stagione inizia a rischiudersi. Dopo il tracollo di Casale arriva Savona, la vittoria contro Fossano e Prato. Insieme alla gioia arrivano i dolori. Anzi, il dolore che è parte integrante del cemento della vita. La scomparsa della piccola Victoria, figlia di Michel Cruciani, tesse nel suo dramma un altro filo che lega tutti coloro che si riflettono nello specchio rossonero.

Dopo due pareggi, tornano le vittorie. Fezzano e poi il ribaltone a Caronno che inizia a colorare di epicità anche questa stagione. Poi ancora ottimi voti alla lavagna e a Bra il poker di vittorie è servito. Contro il Vado la Pantera chiude l’anno agonistico strappando una nuova vittoria e il secondo posto in campionato. 

Mancano ancora certezze, progetti a lungo termine e investimenti sicuri. Manca la voglia del Comune di fare della prima squadra della città un valore, e il coraggio degli imprenditori locali di incarnarsi in una bandiera. Mancano i lucchesi allo stadio, troppo volubili per essere veramente tifosi. E arriva Il 2020, anno bisestile. Avrà un giorno in più: speriamo sia quello della vittoria.



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