Rubriche : fotomosaico

Il volo da Lucca a Torino ferma a Superga

venerdì, 28 giugno 2013, 08:30

di simone pellico

Coincidenze. Fatti casuali che piovono nella stessa pozzanghera, riflettendo il pezzo di vita che vi si affaccia. Oppure circostanze non casuali, che si saldano fra di loro come anelli di una catena, con una forza tale da trascinare l’esistenza. O magari pezzi premonitori di uno specchio rotto, che si ricongiungono magicamente. Coincidenze. Avrà pensato Vittorio Pozzo di nero vestito, fuori e dentro, scorrendo immobile fra i fantasmi increduli di trentuno salme, appena atterrati e già obbligati a ripartire. Fra i volti scarabocchiati dal fumo dell’aereo, poteva esserci il suo. Come quello di Ferruccio Novo, e degli altri che avevano perso la coincidenza con la morte.

Bacigalupo, i Ballarin, Bongiorni, Casigliano, Ladini, Gabetto, Grava, Grezar, Loik, Maroso, Martelli, Mazzola, Menti, Operto, Ossola, Rigamonti, Schubert che chiude come Franz la sinfonia della marcia funebre dei giocatori. Il Grande Torino scomparso “come uno di quei plotoni di arditi che, nella guerra, uscivano dalla trincea, coi loro ufficiali, al completo, e non ritornava nessuno, al completo. Poi Agnisetta, Civalleri, Bonaiuti. Casalbore, Tosatti, Cavallero. Lievesley e Cortina. L’equipaggio. E l’ungherese.

La faccia dell’ungherese è un fiume che viene da lontano, che prima di buttarsi nel Po si era ingrossato nel Serchio. Ernest ‘Egri’ Erbstein tiene per mano toro e pantera, che lo seguono come un pifferaio magico, un cantastorie che le leggende non solo le racconta ma le crea. Perché prima di scrivere la sceneggiatura del Grande Torino e partecipare al suo epilogo, Egri aveva diretto il grande debutto della Lucchese in seria A, stagione 1936-37, traghettando i rossoneri pure dal Campaccio allo Stadio Comunale, in tandem vincente con il presidente Della Santina. Proprio le stagioni esaltanti a Lucca, gli erano valse la chiamata granata, a cui aveva risposto dopo un paio di dribbling alle leggi razziali e alla guerra. E non si scordò dei rossoneri, mandando a Lucca giocatori importanti, creando un bacino comune per Po e Serchio, distrutto a Superga.

Erbstein allenatore e filosofo, psicologo e motivatore, osservatore e innovatore. Introdusse il riscaldamento prepartita, allenava ogni reparto differentemente, disponeva in campo la squadra per favorire un gioco ‘totale’, trent’anni prima di quello olandese. Nella cartolina ricordo della prima stagione della Lucchese in A, Egri non guarda lo spettatore, guarda la squadra. Sembra comandare ad ognuno l’esercizio specifico da fare, il difetto da sanare, il futuro da seguire.

Olivieri lo porterà in Nazionale e poi al Torino. Perduca l’aveva portato da Bari. Petri lo mandò alle Olimpiadi, che Pescini mancò per una gamba rotta. Dossena lo voleva addosso ai migliori giocatori avversari. Scher secondo lui doveva fare l’allenatore. Coppa lo prendeva a pedate dopo le notti brave. Michelini lo mandò in campo a sorpresa, conquistando la seria A. Andreoli lo fece diventare ambidestro, “perché se col destro monta sul tram, può pure giocarci”.

Se è vero che prima di morire ad ognuno passa davanti il film della propria vita, un secondo prima dello schianto a Superga Egri ha rivisto pure la Lucchese che guarda nella cartolina, ne avrà ripassato in rassegna i volti che spuntano dalla maglia rossonera, avrà rivisto il bar Savoia dove discuteva con i tifosi, che lo accompagnavano fino a casa in San Michele. Avrà riaccarezzato le fronde degli alberi delle mura, sotto i quali i tifosi lo portavano in trionfo dopo le vittorie, marciando con la storia della città, schivando le auto della coppa Edda inaugurata in quegli anni, le biciclette del Giro d’Italia e la carrozza infuocata di Lucida Mansi lanciata in una nuvola di fumo. Quella della sigaretta che ballava in bocca ad Erbstein, issato sulle spalle dei lucchesi.

 

 



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