Rubriche : romanzo rossonero

Salviamo la Libertas dalla rassegnazione dilettantistica

mercoledì, 2 ottobre 2019, 13:37

di alessandro lazzarini

La nuova Lucchese calca per la prima volta il prato del suo stadio e guadagna un punto con la Sanremese andando incontro a un epilogo ingiusto quanto scontato: la protesta della Curva che chiede vittorie e intima ai giocatori di 'tirare fuori le palle' e altri slogan tipici di queste situazioni calcistiche di aspettative insoddisfatte. Chiariamo subito che le rimostranze della tifoseria sono del tutto ingenerose, perché i Rossoneri sono apparsi più deboli rispetto agli accreditati avversari e non è affatto sembrato che sia mancato l'impegno; d'altro canto, tuttavia, la rabbia della Curva era prevedibile dal momento che, come abbiamo già ampiamente scritto, si possono fare tutti i proclami realistici di questo mondo ma il tifoso della Lucchese, quando la squadra gioca in Serie D, come minimo risultato possibile attende la vittoria del campionato.

La contestazione dimostra inoltre che la psicologia della passione sportiva domina la realtà, cioè che gli appassionati non si sono ancora resi pienamente conto che la squadra allestita, per quanto possa far meglio di quanto visto finora, salvo sorprese non ha alcuna possibilità di lottare per vincere il campionato. Vero che al debutto casalingo erano assenti le due ali che finora sono state gli elementi che, con iniziative individuali, hanno rappresentato l'unico elemento di pericolosità offensiva della Libertas (nessuna occasione da gol creata contro i liguri), ma complessivamente si nota ancora la totale mancanza di un impianto di gioco coerente, la difficoltà nella scelta degli uomini alla luce dell'obbligo dell'impiego dei giovani e, soprattutto, un centrocampo con tasso tecnico insufficiente alla creazione di gioco, con il capitano Nolè irriconoscibile rispetto a come l'avevamo salutato due anni orsono e i soli Presicci e Tarantino a farsi carico di sopperire con imprese personali alle carenze di costruzione. Il ritardo nell'allestimento e nella preparazione sono comunque scusanti che per il momento non possono essere ancora trascurate, anche se si parla di una decina di giorni di lavoro in meno rispetto agli avversari, per cui i margini di miglioramento potrebbero anche essere maggiori di quello che sembra.

Riguardo il capitolo stadio e la tifoseria, c'è da notare come le attese dovute al blasone appaiano sempre più distanti dalla realtà oggettiva ci ciò che la Lucchese sembra essere diventata. Come era prevedibile il terzo fallimento in pochi anni ha dato una ulteriore mazzata ai già pochi tifosi che erano rimasti attaccati allo scoglio Rossonero. Già sterminato dal calcio business delle televisioni e della Serie A, il seguito di pubblico delle categorie inferiori è ai minimi termini di sempre e, di anno in anno, viene limato sempre più il nucleo di affezionati romantici alle squadre di calcio come espressione identitaria di una comunità. Con meno di mille tifosi presenti, la tribuna in larga parte inagibile e un campo di patate dove far correre i giocatori, il Porta Elisa non ha certo proposto un contesto coerente con le rivendicazioni dovute al blasone, d'altra parte portate avanti per lo più dalla curva, ma anzi un ambiente rassegnato e che mostra avvisaglie di ridimensionamento alla realtà dilettantistica come sua naturale collocazione. Chiaro che non possono essere gli appassionati a risolvere da soli questa caduta verso il basso: ci vuole intanto una società che si rapporti coi media e con l'ambiente con un contegno adeguato alla tradizione e a una realtà che vuole già essere professionistica, evitando ad esempio dichiarazioni scandite da toni adatti a campi di periferia, poi ci vorrebbero garanzie sulle ambizioni future e, magari, anche una opinione pubblica che esca dalla sua endemica mediocrità e smetta di ripetere i mantra scontati lanciati dai ‘pompieri’ per proporre senza remore le proprie ambizioni: “Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler andare d’accordo con tutti. Le cose grandi ai grandi, gli abissi ai profondi, le finezze ai sottili e le rarità ai rari”.



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